Brown contro Mississippi, 297 U.S. 278 (1936)

Corte Suprema degli Stati Uniti

Brown contro Mississippi, (1936)

Brown contro Mississippi

No. 301

Arguardato il 10 gennaio 1936

Deciso il 17 febbraio 1936

CERTIORARI ALLA CORTE SUPREMA DEL MISSISSIPPI

Sillabo

Le condanne per omicidio che si basano esclusivamente su confessioni che si dimostrano essere state estorte da funzionari dello Stato mediante tortura dell’imputato sono nulle ai sensi della clausola del giusto processo del quattordicesimo emendamento. Pp. 297 U. S. 279, 297 U. S. 285. 173 Miss. 542, 158 So. 339; 161 So. 465, rovesciato.

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MR. CHIEF JUSTICE HUGHES ha espresso l’opinione della Corte.

La questione in questo caso è se le condanne che si basano esclusivamente su confessioni che si dimostrano essere state estorte da ufficiali dello Stato con brutalità e violenza siano coerenti con il giusto processo di legge richiesto dal Quattordicesimo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti.

I firmatari furono accusati dell’omicidio di Raymond Stewart, la cui morte avvenne il 30 marzo 1934. Sono stati incriminati il 4 aprile 1934, sono stati chiamati in giudizio e si sono dichiarati non colpevoli. Un avvocato fu nominato dalla corte per difenderli. Il processo fu iniziato la mattina successiva e si concluse il giorno seguente, quando furono giudicati colpevoli e condannati a morte.

A parte le confessioni, non c’erano prove sufficienti a garantire la presentazione del caso alla giuria. Dopo un’inchiesta preliminare, la testimonianza relativa alle confessioni è stata ricevuta su obiezione degli avvocati degli imputati. Gli imputati testimoniarono allora che le confessioni erano false e che erano state ottenute con la tortura fisica. Il caso andò alla giuria con le istruzioni, su richiesta del consulente legale degli imputati, che, se la giuria aveva un ragionevole dubbio sul fatto che le confessioni fossero il risultato di una coercizione e che non fossero vere, non dovevano essere considerate come prova. Nel loro appello alla Corte Suprema

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dello Stato, gli imputati assegnarono come errore l’inammissibilità delle confessioni. La sentenza è stata confermata. 158 So. 339.

Gli imputati si sono poi mossi presso la Corte Suprema dello Stato per arrestare la sentenza e per un nuovo processo sulla base del fatto che tutte le prove contro di loro sono state ottenute con coercizione e brutalità note alla corte e al procuratore distrettuale, e che agli imputati è stato negato il beneficio di un avvocato o la possibilità di conferire con un avvocato in modo ragionevole. La mozione era supportata da affidavit. Più o meno nello stesso periodo, gli imputati presentarono alla Corte Suprema un “suggerimento di errore” che contestava esplicitamente gli atti del processo, nell’uso delle confessioni e rispetto al presunto rifiuto della rappresentanza da parte di un avvocato, come violazione della clausola del giusto processo del Quattordicesimo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. La corte statale accolse il suggerimento di errore, considerò la questione federale e la decise contro le argomentazioni degli imputati. 161 So. 465. Due giudici dissentirono. Id., p. 470. Abbiamo concesso un writ of certiorari.

I motivi della decisione erano (1) che l’immunità dall’autoincriminazione non è essenziale per un giusto processo di legge, e (2) che la mancata esclusione delle confessioni da parte del tribunale del processo dopo l’introduzione di prove che dimostrano la loro incompetenza, in assenza di una richiesta di tale esclusione, non ha privato gli imputati della vita o della libertà senza il dovuto processo di legge, e che, anche se il tribunale avesse erroneamente respinto una mozione per escludere le confessioni, la sentenza sarebbe stata un semplice errore reversibile in appello, ma non una violazione del diritto costituzionale. Id., p. 468.

L’opinione della corte statale non ha esposto le prove sulle circostanze in cui le confessioni sono state ottenute. Che le prove stabilissero che erano state ottenute con la coercizione non è stato messo in discussione. La corte statale

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ha detto:

“Dopo che lo stato ha chiuso il suo caso nel merito, gli appellanti, per la prima volta, hanno introdotto prove dalle quali risulta che le confessioni non sono state fatte volontariamente, ma sono state costrette.”

“Id., p. 466. Non vi è alcuna controversia sui fatti su questo punto, e, poiché essi sono chiaramente e adeguatamente esposti nell’opinione dissenziente del giudice Griffith (con cui il giudice Anderson concorse) — mostrando sia l’estrema brutalità delle misure per estorcere le confessioni sia la partecipazione delle autorità statali — citiamo questa parte della sua opinione per intero, come segue (Id. pp. 470, 471): “

“Il crimine di cui sono accusati questi imputati, tutti negri ignoranti, fu scoperto verso l’una del pomeriggio di venerdì 30 marzo 1934. Quella notte, un Dial, un vice sceriffo, accompagnato da altre persone, venne a casa di Ellington, uno degli imputati, e gli chiese di accompagnarli alla casa del defunto, e lì erano riuniti un certo numero di uomini bianchi che iniziarono ad accusare l’imputato del crimine. Al suo diniego, lo catturarono e, con la partecipazione del vice, lo impiccarono con una corda al ramo di un albero, e, dopo averlo fatto scendere, lo impiccarono di nuovo, e quando fu fatto scendere la seconda volta, ed egli protestava ancora la sua innocenza, fu legato ad un albero e frustato, e ancora rifiutando di accettare le richieste di confessare, fu finalmente rilasciato e tornò con qualche difficoltà alla sua casa, soffrendo un intenso dolore e agonia. Il verbale della testimonianza mostra che i segni della corda sul suo collo erano chiaramente visibili durante il cosiddetto processo. Un giorno o due dopo, il suddetto vice, accompagnato da un altro, tornò a casa del suddetto imputato e lo arrestò, e partì con il prigioniero verso la prigione in una contea adiacente, ma andò per una strada che portava nello Stato dell’Alabama, e mentre sulla strada, in quello Stato, il vice si fermò e frustò di nuovo severamente l’imputato, dichiarando che avrebbe continuato le frustate

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fino a quando non avesse confessato, e l’imputato allora accettò di confessare con una dichiarazione che il vice gli avrebbe dettato, e così fece, dopo di che fu consegnato alla prigione.”

“Anche gli altri due imputati, Ed Brown e Henry Shields, furono arrestati e portati nella stessa prigione. Domenica notte, 1 aprile 1934, lo stesso vice, accompagnato da un certo numero di uomini bianchi, uno dei quali era anche un ufficiale, e dal carceriere, venne alla prigione, e i due ultimi imputati nominati furono fatti spogliare, e furono stesi sulle sedie e le loro schiene furono tagliate a pezzi con una cinghia di cuoio con fibbie su di essa, e furono anche fatti dal detto vice definitivamente capire che le frustate sarebbero state continuate a meno che e fino a quando non avessero confessato, e non solo confessarono, ma confessarono in ogni dettaglio come richiesto dai presenti, e in questo modo gli imputati confessarono il crimine, e man mano che le frustate progredivano e venivano ripetute, cambiavano o aggiustavano la loro confessione in tutti i particolari dei dettagli in modo da conformarsi alle richieste dei loro torturatori. Quando le confessioni erano state ottenute nella forma e nei contenuti esatti desiderati dalla folla, se ne andavano con l’ammonizione e l’avvertimento che, se gli imputati avessero cambiato la loro storia in qualsiasi momento in qualsiasi aspetto da quello dichiarato per ultimo, gli autori dell’oltraggio avrebbero somministrato lo stesso trattamento o un trattamento altrettanto efficace.”

“Ulteriori dettagli del trattamento brutale a cui questi prigionieri indifesi furono sottoposti non hanno bisogno di essere proseguiti. E’ sufficiente dire che, per quanto riguarda gli aspetti pertinenti, la trascrizione assomiglia più a pagine strappate da qualche racconto medievale che a una registrazione fatta entro i confini di una civiltà moderna che aspira a un governo costituzionale illuminato.”

“Tutto ciò essendo stato compiuto, il giorno successivo, cioè lunedì 2 aprile, quando gli imputati avevano avuto il tempo di riprendersi in qualche modo dalle torture a cui erano stati sottoposti, i due sceriffi, uno

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della contea in cui il crimine era stato commesso e l’altro della contea della prigione in cui i prigionieri erano confinati, vennero alla prigione, accompagnati da altre otto persone, alcuni dei quali vice, lì per ascoltare la libera e volontaria confessione di questi miserabili e abietti imputati. Lo sceriffo della contea del crimine ammise di aver sentito parlare delle frustate, ma affermò di non averne avuto conoscenza personale. Ha ammesso che uno degli imputati, quando è stato portato davanti a lui per confessare, zoppicava e non si sedeva, e che questo particolare imputato ha poi dichiarato che era stato legato così severamente che non poteva sedersi, e come già detto, i segni della corda sul collo di un altro degli imputati erano chiaramente visibili a tutti. Ciononostante, la solenne farsa di ascoltare le confessioni libere e volontarie fu portata a termine, e questi due sceriffi e un’altra persona allora presente furono i tre testimoni usati in tribunale per stabilire le cosiddette confessioni, che furono ricevute dalla corte e ammesse come prove sopra le obiezioni degli imputati debitamente registrate quando ognuno dei suddetti tre testimoni rese la sua presunta testimonianza. C’era quindi abbastanza davanti alla corte quando queste confessioni sono state offerte per la prima volta per rendere noto alla corte che non erano, al di là di ogni ragionevole dubbio, libere e volontarie, e il fallimento della corte allora di escludere le confessioni è sufficiente per ribaltare la sentenza sotto ogni regola di procedura che è stata prescritta fino ad allora, e quindi non è stato necessario rinnovare successivamente le obiezioni con una mozione o altro.”

“Essendo state ottenute le confessioni spurie – ed essendo stata portata a termine la farsa di cui sopra lunedì 2 aprile – la corte, allora in sessione, il giorno seguente, martedì 3 aprile 1934, ordinò al gran giurì di riunirsi il giorno successivo, 4 aprile 1934, alle ore nove, e, la mattina del giorno da ultimo menzionato,

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il gran giurì restituì un atto d’accusa contro gli imputati per omicidio. Nel tardo pomeriggio, gli imputati furono portati dalla prigione della contea adiacente e citati in giudizio, quando uno o più di loro si offrirono di dichiararsi colpevoli, cosa che la corte rifiutò di accettare, e, alla domanda se avessero o desiderassero un avvocato, essi dichiararono di non averne e di non supporre che un avvocato potesse essere loro d’aiuto. La corte nominò quindi un avvocato e fissò il caso per il processo la mattina seguente alle nove, e gli imputati furono riportati nella prigione della contea adiacente a circa trenta miglia di distanza.”

“Gli imputati furono portati al palazzo di giustizia della contea la mattina seguente, il 5 aprile, e il cosiddetto processo fu aperto, e fu concluso il giorno successivo, il 6 aprile 1934, e risultò in una finta condanna con sentenza di morte. La prova su cui fu ottenuta la condanna furono le cosiddette confessioni. Senza questa prova, un’istruzione perentoria per trovare gli imputati sarebbe stata ineluttabile. Gli imputati sono stati messi alla sbarra e, attraverso la loro testimonianza, i fatti e i dettagli relativi al modo in cui le confessioni sono state estorte a loro sono stati pienamente sviluppati, ed è inoltre rivelato dal verbale che lo stesso vice, Dial, sotto la cui guida e partecipazione attiva le torture per estorcere le confessioni sono state amministrate, era attivamente nello svolgimento delle presunte funzioni di un vice del tribunale nel palazzo di giustizia e in presenza dei prigionieri durante quello che è denominato, in termini gratuiti, il processo di questi imputati. Questo sostituto è stato messo sul banco dei testimoni dallo Stato nella confutazione, e ha ammesso le frustate. E’ interessante notare che, nella sua testimonianza in riferimento alle frustate dell’imputato Ellington, e in risposta alla domanda su quanto severamente sia stato frustato, il vice ha dichiarato: “Non troppo per un negro; non tanto quanto avrei fatto io se fosse stato lasciato a me”. Due altri che avevano partecipato

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a queste frustate furono introdotti e lo ammisero — non fu introdotto un solo testimone che lo negasse. I fatti non solo sono incontestati, ma sono stati ammessi, e hanno ammesso di essere stati fatti da ufficiali dello stato, in congiunzione con altri partecipanti, e tutto questo era sicuramente ben noto a tutti quelli connessi con il processo, e durante il processo, incluso l’avvocato dell’accusa dello stato e il giudice che presiedeva il processo”

1. Lo Stato sottolinea la dichiarazione in Twining v. New Jersey, 211 U. S. 78, 211 U. S. 114, che “l’esenzione dall’autoincriminazione obbligatoria nei tribunali degli Stati non è assicurata da nessuna parte della Costituzione federale”, e la dichiarazione in Snyder v. Massachusetts, 291 U. S. 97, 291 U. S. 105, che “il privilegio contro l’autoincriminazione può essere revocato, e l’accusato messo alla sbarra come testimone per lo Stato”. Ma la questione del diritto dello Stato di ritirare il privilegio contro l’autoincriminazione non è qui coinvolta. La coercizione a cui si riferiscono le dichiarazioni citate è quella dei processi di giustizia con cui l’accusato può essere chiamato come testimone e obbligato a testimoniare. La coercizione attraverso la tortura per estorcere una confessione è una questione diversa.

Lo Stato è libero di regolare la procedura dei suoi tribunali in accordo con le proprie concezioni di politica a meno che, così facendo, “offenda qualche principio di giustizia così radicato nelle tradizioni e nella coscienza del nostro popolo da essere classificato come fondamentale”. Snyder v. Massachusetts, supra; Rogers v. Peck, 199 U. S. 425, 199 U. S. 434. Lo Stato può abolire il processo con giuria. Può rinunciare all’incriminazione da parte di un gran giurì e sostituire la denuncia o l’informazione. Walker v. Sauvinet, 92 U. S. 90; Hurtado v. California, 110 U. S. 516; Snyder v. Massachusetts, supra. Ma la libertà dello Stato nello stabilire la sua politica è la libertà del governo costituzionale, ed è limitata dal requisito del giusto processo di legge. Poiché uno Stato può fare a meno di un processo con giuria, non ne consegue che possa sostituire il processo per ordalia. La ruota e la tortura

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non possono essere sostituite dal banco dei testimoni. Lo Stato non può permettere che un accusato sia affrettato alla condanna sotto la dominazione della mafia – dove l’intero procedimento non è che una maschera – senza fornire un processo correttivo. Moore contro Dempsey, 261 U. S. 86, 261 U. S. 91. Lo Stato non può negare all’imputato l’assistenza di un avvocato. Powell contro Alabama, 287 U. S. 45. Né uno Stato può, attraverso l’azione dei suoi funzionari, escogitare una condanna con la pretesa di un processo che, in verità, è

“ma usato come mezzo per privare un imputato della libertà attraverso un inganno deliberato della corte e della giuria con la presentazione di una testimonianza nota per essere falsa.”

Mooney contro Holohan, 294 U. S. 103, 294 U. S. 112. E il processo è ugualmente un mero pretesto quando le autorità statali hanno escogitato una condanna basata unicamente su confessioni ottenute con la violenza. La clausola del giusto processo richiede

“che l’azione dello Stato, attraverso un’agenzia o un’altra, sia coerente con i principi fondamentali di libertà e giustizia che stanno alla base di tutte le nostre istituzioni civili e politiche.”

Hebert v. Louisiana, 272 U. S. 312, 272 U. S. 316. Sarebbe difficile concepire metodi più rivoltanti per il senso di giustizia di quelli adottati per ottenere le confessioni di questi firmatari, e l’uso delle confessioni così ottenute come base per la condanna e la sentenza è stata una chiara negazione del giusto processo.

2. E’ in questa prospettiva che l’ulteriore contesa dello Stato deve essere considerata. Questa contesa si basa sul fallimento dell’avvocato dell’imputato, che aveva obiettato all’ammissibilità delle confessioni, di chiederne l’esclusione dopo che erano state introdotte e il fatto della coercizione era stato provato. Si tratta di un’argomentazione che procede su una concezione errata della natura del reclamo dei firmatari. Il reclamo non riguarda la commissione di un semplice errore, ma di un errore così fondamentale che ha reso l’intero procedimento una mera finzione di un processo, e ha reso la condanna e la sentenza completamente nulle. Moore contro Dempsey, supra. Non siamo interessati a una mera

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questione di prassi statale, o se gli avvocati assegnati ai firmatari erano competenti o se hanno erroneamente ritenuto che le loro prime obiezioni fossero sufficienti. In un caso precedente, la Corte Suprema dello Stato aveva riconosciuto il dovere del tribunale di fornire un processo correttivo laddove fosse stato negato il dovuto processo di legge. In Fisher v. State, 145 Miss. 116, 134, 110 So. 361, 365, la corte disse:

“Costringere i presunti criminali dello Stato a confessare e usare tali confessioni così estorte contro di loro nei processi è stata la maledizione di tutti i paesi. È stata la principale iniquità, l’infamia coronante, della Camera delle Stelle e dell’Inquisizione, e di altre istituzioni simili. La costituzione ha riconosciuto i mali che stavano dietro queste pratiche, e le ha proibite in questo paese. . . . Il dovere di mantenere i diritti costituzionali di una persona sotto processo per la sua vita si eleva al di sopra delle semplici regole di procedura, e laddove la corte è chiaramente soddisfatta dell’esistenza di tali violazioni, si rifiuterà di sanzionare tali violazioni e applicherà il correttivo.”

Nel caso attuale, il tribunale era pienamente informato dalle prove indiscusse del modo in cui le confessioni erano state procurate. Il tribunale sapeva che non c’erano altre prove su cui la condanna e la sentenza potessero essere basate. Eppure ha proceduto a permettere la condanna e a pronunciare la sentenza. La condanna e la sentenza erano nulle per mancanza degli elementi essenziali del giusto processo, e il procedimento così viziato poteva essere impugnato in qualsiasi modo appropriato. Mooney contro Holohan, supra. Fu contestato davanti alla Corte Suprema dello Stato con l’esplicita invocazione del Quattordicesimo Emendamento. Quella corte ha accolto la sfida, ha considerato la questione federale così presentata, ma ha rifiutato di far rispettare il diritto costituzionale dei firmatari. La corte ha così negato un diritto federale pienamente stabilito e appositamente istituito e rivendicato, e la sentenza deve essere

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