Clemente di Alessandria

Klementos Alexandreos ta heuriskomena (1715)

TrilogiaEdit

Tre delle principali opere di Clemente sono sopravvissute per intero e sono collettivamente indicate come una trilogia:

  • il Protrepticus (Esortazione) – scritto intorno al 195 d.C.
  • il Paedagogus (Tutor) – scritto verso il 198 d.C.
  • gli Stromata (Miscellanie) – scritti verso il 198 d.C. – verso il 203 d.C.

ProtrepticusEdit

Articolo principale: Protrepticus (Clement)
I misteri orfici sono usati come esempio dei falsi culti del paganesimo greco nel Protrepticus.

Il Protrepticus è, come suggerisce il suo titolo, un’esortazione ai pagani della Grecia ad adottare il cristianesimo. In esso, Clemente dimostra la sua vasta conoscenza della mitologia e della teologia pagana. È importante soprattutto per l’esposizione di Clemente della religione come fenomeno antropologico. Dopo una breve discussione filosofica, si apre con una storia della religione greca in sette fasi. Clemente suggerisce che all’inizio gli uomini credevano erroneamente che il Sole, la Luna e altri corpi celesti fossero divinità. La successiva fase di sviluppo fu il culto dei prodotti dell’agricoltura, da cui egli sostiene che nacquero i culti di Demetra e Dioniso. Gli esseri umani hanno poi reso omaggio alla vendetta e deificato i sentimenti umani di amore e paura, tra gli altri. Nella fase successiva, i poeti Esiodo e Omero tentano di enumerare le divinità; la Teogonia di Esiodo dà il numero di dodici. Infine, gli uomini raggiunsero una fase in cui proclamarono altri, come Asclepio ed Eracle, come divinità. Discutendo l’idolatria, Clemente sostiene che gli oggetti della religione primitiva erano legno e pietra non sagomati, e gli idoli sorgevano quindi quando tali oggetti naturali venivano scolpiti. Seguendo Platone, Clemente è critico verso tutte le forme di arte visiva, suggerendo che le opere d’arte non sono che illusioni e “giocattoli mortali”.

Clemente critica il paganesimo greco nel Protrepticus sulla base del fatto che le sue divinità sono sia false che poveri esempi morali. Egli attacca le religioni misteriche per il loro ritualismo e misticismo. In particolare, gli adoratori di Dioniso sono ridicolizzati da lui per i loro rituali basati sulla famiglia (come l’uso di giocattoli per bambini nella cerimonia). Egli suggerisce in alcuni punti che le divinità pagane sono basate sugli esseri umani, ma altre volte suggerisce che sono demoni misantropi, e cita diverse fonti classiche a sostegno di questa seconda ipotesi. Clemente, come molti padri della chiesa pre-nicena, scrive favorevolmente di Eumero e di altri filosofi razionalisti, sulla base del fatto che essi almeno vedevano i difetti del paganesimo. Tuttavia, il suo più grande elogio è riservato a Platone, la cui visione apofatica di Dio prefigura il cristianesimo.

La figura di Orfeo è prominente in tutta la narrazione del Protrepticus, e Clemente contrappone il canto di Orfeo, che rappresenta la superstizione pagana, al Logos divino di Cristo. Secondo Clemente, solo attraverso la conversione al cristianesimo si può partecipare pienamente al Logos, che è la verità universale.

PaedagogusEdit

Articolo principale: Paedagogus
Cristo, il Logos incarnato, è il Paedagogus del titolo dell’opera.

Il titolo di quest’opera, traducibile come “precettore”, si riferisce a Cristo come maestro di tutti gli uomini, e presenta una metafora estesa dei cristiani come bambini. Non è semplicemente istruttivo: Clemente intende mostrare come il cristiano dovrebbe rispondere all’Amore di Dio in modo autentico. Seguendo Platone (Repubblica 4,441), egli divide la vita in tre elementi: carattere, azioni e passioni. Il primo è stato trattato nel Protrepticus, egli dedica il Paedagogus alle riflessioni sul ruolo di Cristo nell’insegnare agli uomini ad agire moralmente e a controllare le loro passioni. Nonostante la sua natura esplicitamente cristiana, l’opera di Clemente attinge alla filosofia stoica e alla letteratura pagana; Omero, da solo, è citato più di sessanta volte nell’opera.

Anche se Cristo, come un umano, è fatto a immagine di Dio, solo lui condivide la somiglianza con Dio Padre. Cristo è allo stesso tempo senza peccato e apatico, e quindi sforzandosi di imitare Cristo, si può raggiungere la salvezza. Per Clemente, il peccato è involontario, e quindi irrazionale, rimosso solo attraverso la saggezza del Logos. La guida di Dio lontano dal peccato è quindi una manifestazione dell’amore universale di Dio per l’umanità. Il gioco di parole su λόγος e άλογον è caratteristico della scrittura di Clemente, e può essere radicato nella credenza epicurea che le relazioni tra le parole riflettono profondamente le relazioni tra gli oggetti che esse significano.

Clemente sostiene l’uguaglianza dei sessi, sulla base del fatto che la salvezza è estesa a tutti gli uomini allo stesso modo. Insolitamente, egli suggerisce che Cristo non è né femminile né maschile, e che Dio Padre ha aspetti sia femminili che maschili: l’eucaristia è descritta come latte dal seno (Cristo) del Padre. Clemente è favorevole al fatto che le donne giochino un ruolo attivo nella leadership della chiesa e fornisce una lista di donne che considera ispiratrici, che include sia figure bibliche che greche classiche. È stato suggerito che i punti di vista progressisti di Clemente sul genere, come esposti nel Pedagogus, siano stati influenzati dallo gnosticismo, tuttavia, più avanti nell’opera, egli argomenta contro gli gnostici che la fede, non la conoscenza esoterica, è necessaria per la salvezza. Secondo Clemente, è attraverso la fede in Cristo che uno viene illuminato e arriva a conoscere Dio.

Nel secondo libro, Clemente fornisce regole pratiche sulla vita cristiana. Egli argomenta contro l’eccessiva indulgenza nel cibo e a favore delle buone maniere a tavola. Mentre proibisce l’ubriachezza, promuove il consumo di alcol con moderazione seguendo 1 Timoteo 5:23. Clemente sostiene uno stile di vita semplice in accordo con la semplicità innata del monoteismo cristiano. Condanna gli arredi e i vestiti elaborati e costosi, e si oppone alla musica e ai profumi troppo appassionati, ma Clemente non crede nell’abbandono dei piaceri mondani e sostiene che il cristiano dovrebbe essere in grado di esprimere la gioia nella creazione di Dio attraverso l’allegria e la festa. Si oppone all’indossare ghirlande, perché la raccolta dei fiori alla fine uccide una bella creazione di Dio, e la ghirlanda assomiglia alla corona di spine. Clemente tratta a lungo il sesso. Egli sostiene che sia la promiscuità che l’astinenza sessuale sono innaturali, e che lo scopo principale della sessualità umana è la procreazione. Egli sostiene che l’adulterio, il coito con donne incinte, il concubinaggio, l’omosessualità e la prostituzione dovrebbero tutti essere evitati in quanto non contribuiscono alla generazione di prole legittima.

Nel suo terzo libro, Clemente continua su una linea simile, condannando i cosmetici sulla base del fatto che è la propria anima, non il corpo, che si dovrebbe cercare di abbellire. Clemente si oppone anche alla tintura dei capelli degli uomini e alla depilazione maschile in quanto effeminati. Consiglia di scegliere attentamente la propria compagnia, per evitare di essere corrotti da persone immorali, e mentre sostiene che la ricchezza materiale non è un peccato in sé, è troppo probabile che distragga dalla ricchezza spirituale infinitamente più importante che si trova in Cristo. L’opera termina con selezioni di scritture a sostegno dell’argomentazione di Clemente, e dopo una preghiera, il testo di un inno.

StromataEdit

Clemente descrive gli Stromata come un lavoro su vari argomenti che spuntano nel testo come fiori in un prato.

Articolo principale: Stromata

Il contenuto degli Stromata, come suggerisce il titolo, è miscellaneo. Il suo posto nella trilogia è controverso – Clemente inizialmente intendeva scrivere il Didasculus, un’opera che avrebbe completato la guida pratica del Paedagogus con una scuola più intellettuale in teologia. Gli Stromata sono meno sistematici e ordinati delle altre opere di Clemente, ed è stato teorizzato da André Méhat che fossero destinati a un pubblico limitato ed esoterico. Anche se Eusebio scrisse degli otto libri dell’opera, solo sette senza dubbio sopravvivono. Fozio, scrivendo nel IX secolo, trovò vari testi allegati ai manoscritti dei sette libri canonici, il che portò Daniel Heinsius a suggerire che l’ottavo libro originale è perduto, e identificò il testo che si presume essere dell’ottavo libro come frammenti dell’Ipotesi.

Il primo libro inizia sul tema della filosofia greca. Coerentemente con gli altri suoi scritti, Clemente afferma che la filosofia aveva un ruolo propedeutico per i greci, simile alla funzione della legge per gli ebrei. Poi si imbarca in una discussione sulle origini della cultura e della tecnologia greca, sostenendo che la maggior parte delle figure importanti nel mondo greco erano stranieri, e (erroneamente) che la cultura ebraica fu l’influenza più significativa sulla Grecia. Nel tentativo di dimostrare il primato di Mosè, Clemente dà una cronologia estesa del mondo, in cui data la nascita di Cristo al 25 aprile o maggio, 4-2 a.C., e la creazione del mondo al 5592 a.C. Il libro termina con una discussione sull’origine delle lingue e sulla possibilità di un’influenza ebraica su Platone.

Il secondo libro è in gran parte dedicato ai rispettivi ruoli della fede e dell’argomento filosofico. Clemente sostiene che mentre entrambi sono importanti, il timore di Dio è al primo posto, perché attraverso la fede si riceve la saggezza divina. Per Clemente, la Scrittura è una filosofia primitiva innatamente vera che è completata dalla ragione umana attraverso il Logos. La fede è volontaria, e la decisione di credere è un passo fondamentale per avvicinarsi a Dio. Non è mai irrazionale, poiché è fondata sulla conoscenza della verità del Logos, ma tutta la conoscenza procede dalla fede, poiché i primi principi sono indimostrabili al di fuori di una struttura sistematica.

Il terzo libro tratta dell’ascetismo. Discute il matrimonio, che è trattato in modo simile nel Paedagogus. Clemente respinge l’opposizione gnostica al matrimonio, sostenendo che solo gli uomini che non sono interessati alle donne dovrebbero rimanere celibi, e che il sesso è un bene positivo se praticato all’interno del matrimonio ai fini della procreazione. Egli sostiene che non è sempre stato così: la caduta avvenne perché Adamo ed Eva cedettero al loro desiderio reciproco e copularono prima del tempo stabilito. Egli argomenta contro l’idea che i cristiani dovrebbero rifiutare la loro famiglia per una vita ascetica, che deriva da Luca 14:25-27, sostenendo che Gesù non avrebbe contraddetto il precetto di “Onora tuo padre e tua madre” (Esodo 20:12), uno dei dieci comandamenti. Clemente conclude che l’ascetismo sarà premiato solo se la motivazione è di natura cristiana, e quindi l’ascetismo dei non cristiani come i gimnosofisti è inutile.

Clemente inizia il quarto libro con una spiegazione tardiva della natura disorganizzata dell’opera, e dà una breve descrizione dei suoi obiettivi per i restanti tre o quattro libri. Il quarto libro si concentra sul martirio. Mentre tutti i buoni cristiani non dovrebbero avere paura della morte, Clemente condanna coloro che cercano attivamente una morte da martire, sostenendo che non hanno sufficiente rispetto per il dono della vita da parte di Dio. Egli è ambivalente sul fatto che qualsiasi cristiano credente possa diventare un martire in virtù del modo della sua morte, o se il martirio è riservato a coloro che hanno vissuto vite eccezionali. I marcioniti non possono diventare martiri, perché non credono nella divinità di Dio Padre, quindi le loro sofferenze sono vane. C’è poi una digressione sul tema dell’epistemologia teologica. Secondo Clemente, non c’è modo di provare empiricamente l’esistenza di Dio Padre, perché il Logos ha un significato rivelatore, non analizzabile, anche se Cristo era un oggetto dei sensi. Dio non ha avuto inizio, ed è il primo principio universale.

Il quinto libro ritorna sul tema della fede. Clemente sostiene che la verità, la giustizia e la bontà possono essere viste solo dalla mente, non dagli occhi; la fede è un modo di accedere all’invisibile. Egli sottolinea che la conoscenza di Dio può essere raggiunta solo attraverso la fede una volta che i propri difetti morali sono stati corretti. Questo è parallelo alla precedente insistenza di Clemente sul fatto che il martirio può essere raggiunto solo da coloro che praticano la loro fede in Cristo attraverso buone azioni, non da coloro che semplicemente professano la loro fede. Dio trascende interamente la materia, e quindi il materialista non può veramente arrivare a conoscere Dio. Anche se Cristo era Dio incarnato, è importante la comprensione spirituale, non fisica di lui.

All’inizio del sesto libro, Clemente intende dimostrare che le opere dei poeti greci sono derivate dai libri profetici della Bibbia. Per rafforzare la sua posizione che i greci erano inclini al plagio, egli cita numerosi casi di tale appropriazione inappropriata da parte di scrittori greci classici, riportati di seconda mano da Sul plagio, un’opera anonima del III secolo a.C. talvolta attribuita ad Aretade. Clemente divaga poi sul tema del peccato e dell’inferno, sostenendo che Adamo non era perfetto quando fu creato, ma gli fu dato il potenziale per raggiungere la perfezione. Egli sposa una dottrina ampiamente universalista, sostenendo che la promessa di salvezza di Cristo è disponibile per tutti, anche per i condannati all’inferno.

L’ultimo libro esistente inizia con una descrizione della natura di Cristo, e quella del vero cristiano, che mira ad essere il più simile possibile sia al Padre che al Figlio. Clemente critica poi l’antropomorfismo semplicistico della maggior parte delle religioni antiche, citando la famosa descrizione di Senofane delle divinità africane, tracie ed egizie. Egli indica che le divinità greche possono anche aver avuto le loro origini nella personificazione di oggetti materiali: Ares rappresenta il ferro e Dioniso il vino. La preghiera e la relazione tra amore e conoscenza sono poi discusse. 1 Corinzi 13:8 sembra contraddire la caratterizzazione del vero cristiano come uno che sa; ma per Clemente la conoscenza svanisce solo in quanto è sussunta dall’amore universale espresso dal cristiano nella riverenza per il Creatore. Seguendo Socrate, egli sostiene che il vizio nasce da uno stato di ignoranza, non dall’intenzione. Il cristiano è un “lavoratore nella vigna di Dio”, responsabile sia del proprio cammino di salvezza che di quello del prossimo. L’opera termina con un lungo passaggio contro le divisioni e le eresie contemporanee all’interno della chiesa.

Altre opereModifica

Oltre alla grande trilogia, l’unica altra opera esistente di Clemente è il trattato La salvezza dei ricchi, noto anche come Chi è il ricco che si salva? Dopo aver iniziato con una critica feroce degli effetti corruttori del denaro e degli atteggiamenti servili sbagliati verso i ricchi, Clemente discute le implicazioni di Marco 10:25. I ricchi o non sono convinti della promessa di vita eterna, o non sono consapevoli del conflitto tra il possesso della ricchezza materiale e spirituale, e il buon cristiano ha il dovere di guidarli verso una vita migliore attraverso il Vangelo. Le parole di Gesù non devono essere prese alla lettera – bisogna cercare i significati sovracelesti in cui si rivela la vera via della salvezza. Il possesso di ricchezze materiali di per sé non è un male, a patto che siano usate caritatevolmente, ma i cristiani dovrebbero fare attenzione a non lasciare che la loro ricchezza domini il loro spirito. È più importante rinunciare alle passioni peccaminose che alla ricchezza esteriore. Se i ricchi devono essere salvati, tutto quello che devono fare è seguire i due comandamenti, e mentre la ricchezza materiale non ha valore per Dio, può essere usata per alleviare le sofferenze del prossimo.

Altre opere conosciute esistono solo in frammenti, incluse le quattro opere escatologiche della tradizione segreta: Hypotyposes, Excerpta ex Theodoto, Eclogae Propheticae, e le Adumbraetiones. Queste coprono la gerarchia celeste di Clemente, uno schema complesso in cui l’universo è guidato dal Volto di Dio, sotto il quale si trovano sette protoctisti, seguiti da arcangeli, angeli e umani. Secondo Jean Daniélou, questo schema è ereditato da un esoterismo giudaico-cristiano, seguito dagli apostoli, che veniva impartito solo oralmente a quei cristiani a cui si potevano affidare tali misteri. I proctocisti sono i primi esseri creati da Dio, e fungono da sacerdoti degli arcangeli. Clemente li identifica sia come gli “Occhi del Signore” che con i Troni. Clemente caratterizza le forme celesti come completamente diverse da qualsiasi cosa terrena, anche se sostiene che i membri di ogni ordine sembrano incorporei solo a quelli degli ordini inferiori. Secondo le Eclogae Propheticae, ogni mille anni ogni membro di ogni ordine sale di un grado, e così gli umani possono diventare angeli. Anche i protoctisti possono essere elevati, sebbene la loro nuova posizione nella gerarchia non sia chiaramente definita. L’apparente contraddizione tra il fatto che ci possano essere solo sette protoctisti ma anche un vasto numero di arcangeli da promuovere al loro ordine è problematica. Una soluzione moderna considera la storia come un esempio di “apocalitticismo interiorizzato”: i dettagli immaginari non devono essere presi alla lettera, ma come simbolo di una trasformazione interiore.

Conosciamo i titoli di diverse opere perdute grazie a una lista nella Storia Ecclesiastica di Eusebio, 6.13.1-3. Esse comprendono gli Outlines, in otto libri, e Against Judaizers. Altre sono conosciute solo da menzioni negli scritti di Clemente stesso, tra cui Sul matrimonio e Sulla profezia, anche se poche sono attestate da altri scrittori ed è difficile separare le opere che egli intendeva scrivere da quelle che furono completate.

La lettera di Mar Saba fu attribuita a Clemente da Morton Smith, ma ancora oggi si discute molto se sia un’autentica lettera di Clemente, un antico pseudepigrafo, o un falso moderno. Se autentica, il suo significato principale sarebbe nella sua relazione che l’apostolo Marco venne ad Alessandria da Roma e lì scrisse un Vangelo più spirituale, che affidò alla Chiesa di Alessandria alla sua morte; se autentica, la lettera spinge indietro di un secolo la tradizione riportata da Eusebio che collega Marco con Alessandria.

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