Concubinato

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Al giorno d’oggi, lo stato più o meno permanente di un uomo e una donna che vivono insieme in rapporti illeciti. In senso stretto si usa solo per quelle unioni in cui l’uomo e la donna sono liberi da qualsiasi obbligo derivante da un voto, dallo stato di matrimonio o dagli ordini sacri, o dal fatto della parentela o dell’affinità; è irrilevante che le parti dimorino insieme o meno, essendo la ripetizione o la continuazione di rapporti illeciti tra le stesse persone l’elemento essenziale.

Tuttavia, il significato trasmesso dal termine non è sempre stato lo stesso; nell’Antico Testamento, per esempio, ad un coniuge legittimo, se di un grado sociale inferiore, o ad una schiava, viene spesso dato l’appellativo di concubina, non per mettere in dubbio la validità del suo matrimonio, ma per indicare che non partecipava al rango o alla proprietà del marito né all’amministrazione della casa nella stessa misura della moglie principale. Da Genesi 21:9-14, vediamo che il suo licenziamento e quello dei suoi figli era lecito. Ma in quei tempi della Scrittura, quando la poligamia era permessa o almeno tollerata, una tale concubina non era l’unica compagna di matrimonio. Così Lia e Rachele, le prime due mogli di Giacobbe, avevano la piena posizione sociale di mogli, mentre Bala e Zelpha, entrambe schiave, erano sue concubine, sposate allo scopo di generare figli per Rachele e Lia (Genesi 30:3, 9, 13). Qui, quindi, la principale differenza tra lo stato del matrimonio legittimo propriamente detto e quello del concubinato legittimo si trova nella disparità di rango che caratterizzava quest’ultimo.

Il significato del termine nel diritto romano, e di conseguenza nei primi documenti e scritti ecclesiastici, era molto simile; una concubina era una quasi-moglie, riconosciuta dalla legge se non vi era una moglie legale. Era di solito di un grado sociale inferiore a quello del marito, e i suoi figli, anche se non erano considerati uguali a quelli della moglie legale (uxor), erano comunque chiamati naturali (naturales) per distinguerli dalla prole spuria (spurii). Per questo concubinato legittimo il diritto romano non richiedeva l’intenzione delle due parti di rimanere insieme fino alla morte come uomo e moglie; la Lex Julia e la Papia Poppæa permettevano sia il concubinato temporaneo che quello permanente. Il primo fu sempre condannato come immorale dalla Chiesa, che escluse dalle file dei suoi catecumeni tutti coloro che adottavano questo modo di vivere, a meno che non abbandonassero il loro temporaneo illecito, o lo convertissero in un legittimo matrimonio permanente. Il concubinato permanente, anche se mancava delle forme legali ordinarie e non era riconosciuto dalla legge civile come un matrimonio legale, non aveva in esso alcun elemento di immoralità. Era un vero matrimonio, che includeva l’intenzione e il consenso di entrambe le parti di formare un’unione per tutta la vita. Questo la Chiesa lo permise fin dall’inizio, mentre Papa Callisto I ruppe la barriera della legge statale, ed elevò alla dignità di matrimonio cristiano le unioni permanenti tra schiavo e libero, e anche quelle tra schiavo e schiavo (contubernium).

Il Concilio di Toledo, tenutosi nel 400, nel suo diciassettesimo canone legifera come segue per i laici (per le norme ecclesiastiche su questo tema riguardo ai chierici vedi CELIBATIO): dopo aver pronunciato la sentenza di scomunica contro chi oltre alla moglie tiene una concubina, dice: “Ma se un uomo non ha una moglie, ma una concubina al posto della moglie, non gli sia rifiutata la comunione; solo si accontenti di essere unito con una sola donna, sia moglie che concubina” (Can. “Is qui”, dist. xxxiv; Mansi, III, col. 1001). I refrattari devono essere scomunicati finché non obbediscano e facciano penitenza.

Con la distruzione dell’Impero Romano e il conseguente declino della conoscenza del diritto romano, la sua istituzione del concubinato legittimo cadde in disuso, e il concubinato venne sempre più ad avere solo il significato moderno, quello di un’unione illecita permanente, e come tale fu variamente perseguito dalla Chiesa. I matrimoni clandestini che vennero gradualmente tollerati nel Medioevo, in quanto privi della formalità di una sanzione pubblica da parte della Chiesa, possono essere considerati come una specie di concubinato legittimo. Il Concilio di Trento (1545-1563), Sess. XXIV, cap. i, non solo rinnovò le vecchie pene ecclesiastiche contro il concubinaggio, ma ne aggiunse di nuove, proibì e rese nulle tutte le unioni clandestine, eliminando così per sempre anche l’apparenza del concubinaggio legittimo. Da quel momento in poi, l’idea moderna e invidiosa del solo termine è diventata realtà. I decreti di Trento, tuttavia, erano in vigore solo nei paesi strettamente cattolici; la nuova legge sul matrimonio (Ne temere) di Pio X (1908) estende la proibizione contro i matrimoni clandestini ai cattolici di tutto il mondo.

Fonti

NOLDIN, Summa theologi moralis: de sexto (6th ed., Innsbruck, 1906); Dict. de droit canonique, s.v. Concubinage (Paris, 1901); Canones et Decreta Concilii Tridentini, ed. RICHTER (Leipzig, 1853); WANDINGER in Kirchenlex (2a ed., Freiburg, 1891); DOLHAGARAY in Dict. de théol cath. (Paris, 1906).

A proposito di questa pagina

Citazione APA. Gaynor, H.A. (1908). Concubinaggio. In L’enciclopedia cattolica. New York: Robert Appleton Company. http://www.newadvent.org/cathen/04207a.htm

Citazione MLA. Gaynor, H.A. “Concubinaggio”. The Catholic Encyclopedia. Vol. 4. New York: Robert Appleton Company, 1908. <http://www.newadvent.org/cathen/04207a.htm>.

Transcription. Questo articolo è stato trascritto per il Nuovo Avvento da Douglas J. Potter. Dedicato al Sacro Cuore di Gesù Cristo.

Approvazione ecclesiastica. Nihil Obstat. Remy Lafort, Censore. Imprimatur. +John M. Farley, Arcivescovo di New York.

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