Poco dopo la sconfitta di Massenzio, Costantino incontrò Licinio a Mediolanum (la moderna Milano) per confermare una serie di accordi politici e dinastici. Un prodotto di questo incontro è diventato noto come l’Editto di Milano, che estendeva la tolleranza ai cristiani e ripristinava i beni personali e aziendali che erano stati confiscati durante la persecuzione. Le copie esistenti di questo decreto sono in realtà quelle affisse da Licinio nelle parti orientali dell’impero. Ma Costantino andò ben oltre la politica comune concordata a Mediolanum. Nel 313 aveva già donato al vescovo di Roma la proprietà imperiale del Laterano, dove presto sorse una nuova cattedrale, la Basilica Constantiniana (oggi San Giovanni in Laterano). Anche la chiesa di San Sebastiano fu probabilmente iniziata in questo periodo, e fu in questi primi anni del suo regno che Costantino iniziò ad emanare leggi che conferivano alla chiesa e al suo clero privilegi fiscali e legali e immunità dagli oneri civili. Come disse in una lettera del 313 al proconsole d’Africa, il clero cristiano non dovrebbe essere distratto da uffici secolari dai suoi doveri religiosi “…perché quando sono liberi di rendere un servizio supremo alla Divinità, è evidente che conferiscono grande beneficio agli affari di stato”. In un’altra di queste lettere, diretta al vescovo di Cartagine, Costantino menziona il vescovo spagnolo Osio, che fu importante più tardi nel regno come suo consigliere e forse – dato che potrebbe essere stato con Costantino in Gallia prima della campagna contro Massenzio – strumentale nella conversione dell’imperatore.
La “teologia” personale di Costantino emerge con particolare chiarezza da una notevole serie di lettere, che si estende dal 313 ai primi anni 320, riguardanti lo scisma donatista in Nord Africa. I donatisti sostenevano che i sacerdoti e i vescovi che una volta avevano abbandonato la fede cristiana non potevano essere riammessi nella Chiesa. La principale preoccupazione di Costantino era che una chiesa divisa avrebbe offeso il Dio cristiano e quindi portato la vendetta divina sull’Impero Romano e su Costantino stesso. Lo scisma, nella visione di Costantino, era ispirato da Satana. I suoi partigiani agivano in spregio alla clemenza di Cristo, per cui potevano aspettarsi la dannazione eterna al Giudizio Universale. Nel frattempo, spettava ai membri giusti della comunità cristiana mostrare pazienza e indulgenza. Così facendo avrebbero imitato Cristo, e la loro pazienza sarebbe stata ricompensata al posto del martirio – poiché il martirio vero e proprio non era più aperto ai cristiani in un periodo di pace per la Chiesa. Per tutto il tempo, Costantino non aveva dubbi che rimuovere l’errore e propagare la vera religione fossero sia il suo dovere personale che un uso appropriato della posizione imperiale. La sua affermazione di essere “vescovo di coloro che sono fuori dalla Chiesa” può essere interpretata in questa luce. Altri pronunciamenti di questo tipo, espressi in lettere a funzionari imperiali e al clero cristiano, dimostrano che l’impegno di Costantino verso il cristianesimo era più fermo e meno ambiguo di quanto alcuni abbiano suggerito. Eusebio confermò ciò che Costantino stesso credeva: di avere un rapporto speciale e personale con il Dio cristiano.
Il secondo coinvolgimento di Costantino in una questione ecclesiastica seguì la sconfitta di Licinio, ma la controversia sull’arianesimo, con le sue intricate esplorazioni della precisa natura della Trinità che erano espresse in un greco difficile, era tanto lontana dal background educativo di Costantino quanto dal suo temperamento impaziente e urgente. Il Concilio di Nicea, che si aprì all’inizio dell’estate del 325 con un discorso dell’imperatore, era già stato preceduto da una lettera al principale protagonista, Ario di Alessandria, in cui Costantino affermava la sua opinione che la disputa era alimentata solo da un eccessivo svago e da una contesa accademica, che il punto in questione era banale e poteva essere risolto senza difficoltà. Il suo ottimismo non era giustificato: né questa lettera, né lo stesso Concilio di Nicea, né la seconda lettera, in cui Costantino sollecitava l’accettazione delle sue conclusioni, erano sufficienti a risolvere una disputa in cui i partecipanti erano tanto intransigenti quanto le questioni teologiche erano sottili. Infatti, per più di 40 anni dopo la morte di Costantino, l’arianesimo fu effettivamente l’ortodossia ufficiale dell’Impero d’Oriente.
Il Concilio di Nicea coincise quasi esattamente con le celebrazioni del ventesimo anniversario del regno di Costantino, alle quali, ricambiando il complimento della presenza dell’imperatore al loro concilio, i vescovi furono onorati partecipanti. Ma la visita di Costantino in Occidente nel 326, per ripetere le celebrazioni a Roma, portò la più grande crisi politica del regno. Durante la sua assenza dall’Oriente, e per ragioni che rimangono oscure, Costantino fece uccidere il suo figlio maggiore, il vice imperatore Crispo, e la sua stessa moglie Fausta, matrigna di Crispo. Né la visita a Roma fu un successo. Il rifiuto di Costantino di prendere parte ad una processione pagana offese i romani, e, quando partì dopo una breve visita, non tornò più.