LA POESIA INGLESE INIZIÒ con una visione. Iniziò con la santa trance di un personaggio del settimo secolo chiamato Caedmon, un pastore analfabeta, che ora si trova in cima alla tradizione letteraria inglese come il primo poeta anglosassone o dell’inglese antico, il primo a comporre poesia cristiana nella sua lingua.
Si racconta che Caedmon, che era impiegato presso il monastero di Whitby, invariabilmente fuggiva quando era il suo turno di cantare durante una festa sociale allegra. Si vergognava di non aver mai avuto canzoni da contribuire. Ma una notte una voce venne a Caedmon in sogno e gli chiese di cantare una canzone. Quando Caedmon rispose che non aveva idea di come cantare, la voce gli ordinò di cantare sulla fonte di tutte le cose create (“Cantami il principio di tutte le cose”). “Al che”, come racconta il monaco noto come il Venerabile Beda nella sua Storia Ecclesiastica del Popolo Inglese (731), “Caedmon cominciò a cantare versi che non aveva mai sentito prima in lode di Dio creatore.”
Bede inserì una traduzione latina del poema anglosassone nella sua storia. Probabilmente l’ha tradotto in latino per rendere il poema disponibile ad un pubblico internazionale di chierici, ma è anche possibile che lo stesse traducendo dal latino. Nessuno conosce la priorità di questi testi: nei manoscritti, la versione inglese sopravvive accanto alle traduzioni latine. Ecco il testo anglosassone, e poi una moderna traduzione inglese del poema ispirato chiamato “Caedmon’s Hymn”, che fu composto tra il 658 e il 680.
Nu sculon herigean heofonrices Weard
Meotodes meahte and his modgepanc,
weorc Wuldor-Fæder, swa he wundra gehwæs
ece Drihten o onstealde
He ærest sceop ielda bearnum
Heofon to hrofe halig Scyppend
ða middangeard moncynnes Weard,
ece Drihten æfter teode
firum foldan Frea ælmihtig
Ora dobbiamo lodare il protettore del regno celeste
la potenza del misuratore e il proposito della sua mente,
l’opera del padre della gloria, come egli per ciascuna delle sue meraviglie,
il Signore eterno, ha stabilito un inizio.
Prima plasmò per i figli della terra
il cielo come tetto, il santo costruttore;
poi il mondo di mezzo, custode dell’umanità,
il Signore eterno, fece dopo,
il terreno solido per gli uomini, il Signore onnipotente.
Il sogno di Caedmon era un segno che era diventato un poeta. Era un segnale di vocazione poetica. Un contadino maldestro e ignorante è improvvisamente dotato del potere del canto. È anche possibile, come hanno ipotizzato gli studiosi più tardi, che Caedmon sia stato effettivamente addestrato come bardo germanico o scop, ma abbia nascosto la sua conoscenza della poesia pagana ai monaci, che avrebbero disapprovato ciò che Beda chiama “canzoni vane e oziose”. Caedmon prese una forma orale che era usata per venerare la regalità e la rimodellò per lodare il Signore, Dio il monarca. Il suo inno, la sua unica composizione sopravvissuta, è un poema di lode all’onnipotente, come il cantico latino Benedicte, omnia opera domini, che abbraccia tutto il creato (“O voi tutte opere del Signore, benedite il Signore: Lodatelo e magnificatelo per sempre”). Racchiude la forma di base della poesia inglese antica o germanica: due semirette, ciascuna contenente due sillabe sottolineate e due o più sillabe non sottolineate. Un altro modo di descriverlo è come una linea a quattro toni con una cesura mediale. Accumula due o tre allitterazioni per verso e accumula gli epiteti per Dio, che è guardiano (“Weard”), misuratore (“Meotod”), padre della gloria (“Wuldor-Fæder”), signore eterno (“ece Drihten”), creatore o creatore sacro (“Scyppend”), e maestro onnipotente (“Frea ælmihtig”). Ciò che arrivò a Caedmon in sogno non era solo una storia, che egli avrebbe già conosciuto, ma anche una nuova prosodia.
Caedmon collega l’energia del linguaggio con la potenza dello spirito divino, e la sua poesia religiosa di lode inaugura una tradizione. È anche possibile che Beda stesse promuovendo questa tradizione attraverso Caedmon. Questo modo di collegare il linguaggio al divino guarda indietro a Genesi 1 e in avanti a Thomas Traherne, Henry Vaughan e Christopher Smart, che canta la virtù trascendente della lode stessa. Ecco, per esempio, la strofa cinquanta del poema settecentesco di benedizione di Smart, “A Song to David”:
Lode sopra ogni cosa, perché la lode prevale;
Raccogli la misura, carica la bilancia,
e aggiungi il bene al bene:
L’anima generosa aiuta il suo Salvatore,
ma l’oblio irritante degrada;
il Signore è grande e felice.
La canzone impulsiva di Caedmon guarda avanti a William Blake, Gerard Manley Hopkins, e anche Walt Whitman, che abbraccia e ci sfida ad abbracciare tutte le opere della creazione: “Divino sono dentro e fuori, e rendo santa qualsiasi cosa che tocco o da cui sono toccato” (“Song of Myself”). Sta dietro il radioso e intricato sonetto d’istruzione di W.H. Auden, “Anthem”, che comincia: “Lodiamo il nostro Creatore, esaltiamolo con vera passione”. E ha ispirato il poema di Denise Levertov “Caedmon”, che si conclude con la visione di un goffo zoticone senza talento che improvvisamente si infiamma di ispirazione: “Nulla bruciava”, grida Caedmon, “nient’altro che io, mentre quella mano di fuoco / toccava le mie labbra e bruciava la mia lingua / e tirava la mia voce / nell’anello della danza.”
“Ora dobbiamo lodare”, ci istruisce Caedmon, e tocca così uno degli impulsi primari e permanenti della poesia: un richiamo a più vita, una forma di benedizione, un modo di amare un mondo che risplende di radiosa particolarità.
Edward Hirsch ha pubblicato nove libri di poesia, tra cui Gabriel: A Poem (Knopf), che ha vinto il National Jewish Book Award, e cinque libri di prosa, tra cui A Poet’s Glossary (Houghton Mifflin Harcourt).
Questo saggio e gli otto che lo accompagnano nel nostro numero appariranno come parte di Stars Shall Bend Their Voices: Poets’ Favorite Hymns and Spiritual Songs, curato da Jeffrey Johnson e di prossima pubblicazione in autunno da Orison Books.