Uso degli analeptici in tossicologia clinica: una valutazione storica

Sfondo: L’introduzione e la crescente popolarità dei barbiturici durante i primi due decenni del 20° secolo è stata associata ad un nuovo problema tossicologico minaccioso per la vita: l’overdose di barbiturici.

Metodi: Questo articolo passa in rassegna le quattro fasi principali dell’uso degli analettici. Man mano che cresceva l’interesse per i principi dell’antagonismo fisiologico tra stimolanti e depressivi, gli agenti analettici furono sempre più utilizzati per trattare l’ottundimento e la depressione respiratoria dell’overdose di barbiturici. All’inizio, stimolanti naturali come la canfora, la stricnina, la picrotossina e la caffeina furono usati in tentativi disperati di risvegliare i pazienti. Durante gli anni ’30, e continuando in alcuni centri negli anni ’60, un numero crescente di agenti analettici sintetici come la nikhamide, il pentilenetrazolo, il bemegride, l’anfetamina e il metilfenidato furono raccomandati con entusiasmo come antidoti ai barbiturici, spesso a dosi molto elevate. Sfortunatamente, l’utilizzo di quantità generose di convulsivi multipli non era senza la sua parte di complicazioni. Usando questa strategia analettica, il tasso di mortalità dopo un’overdose di barbiturici da moderata a grave rimaneva fino al 45%. A partire dalla metà degli anni ’40, un gruppo di medici scandinavi fu pioniere di un approccio rivoluzionario all’overdose da sedativi e ipnotici che rifiutava l’uso di analettici e si affidava alla ventilazione respiratoria e alle cure di supporto.

Conclusioni: Anche se la mortalità da overdose di barbiturici è diminuita a meno dell’1% usando questa strategia, ci sarebbero voluti altri 20 anni prima che questa tecnica fosse universalmente adattata. Mentre le terapie analettiche per il trattamento dell’overdose sono state abbandonate, uno di questi analettici, il metilfenidato, gode attualmente di un ampio uso nel trattamento del disturbo da deficit di attenzione e iperattività.

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